Il Caso Albanese: anatomia di un collasso istituzionale (e la fine della diplomazia)
Dall'irruzione violenta a La Stampa, definita un 'monito' necessario , fino alla storica decisione del Tesoro USA di inserirla nella black list dei sanzionati. Questo articolo ricostruisce l'escalation del 'Caso Albanese': dalla guerra dichiarata ai colossi del Big Tech nel report 'Economy of Genocide' alle controversie che hanno portato al suo isolamento politico. Un'analisi impietosa su come l'attivismo radicale rischia di seppellire la credibilità dell'ONU.
12/2/202515 min read


Sommario
L'Eclissi della neutralità
Parte I: Il Punto di Rottura – Torino, Novembre 2025
Il "Monito" di Albanese: l'ermeneutica della giustificazione
Le reazioni politiche e la frattura a sinistra
Parte II: l'eccezione Americana – le sanzioni OFAC (luglio 2025)
Le motivazioni legali e politiche: L'Executive Order 14203
Le conseguenze operative: la "morte civile" finanziaria
Parte III: Lawfare Corporativo – Il Report "Economy of Genocide" (Giugno 2025)
Project Nimbus: Il cuore tecnologico della controversia
Le implicazioni per il diritto internazionale e le reazioni
Parte IV: Le Radici della Discordia – Antisemitismo, Antisionismo e la "Lobby"
Il parossismo del 2025: Il confronto Netanyahu-Hitler
Parte V: La Pista Australiana e i Finanziamenti Ombra
L'elogio a Sinwar e la contiguità con Hamas
Parte VI: Il Fronte Interno – L'Imbarazzo della Sinistra Italiana
Il fattore familiare: Massimiliano Calì e la Banca Mondiale
Parte VII: Dottrina Giuridica o Attivismo Politico?
La riabilitazione sociale di Hamas
Un Ordine Mondiale in Frantumi
L'Eclissi della neutralità
Il 29 novembre 2025 segna una data spartiacque nella storia recente delle relazioni internazionali e della politica interna italiana, un punto di non ritorno che trascende la cronaca per farsi storia del costume politico e diplomatico. L'irruzione violenta di un gruppo di manifestanti all'interno della redazione torinese del quotidiano La Stampa, seguita dalle dichiarazioni incendiarie di Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, non rappresenta un mero episodio di disordine pubblico. Al contrario, essa costituisce l'epifenomeno di una crisi sistemica che ha investito le istituzioni sovranazionali, eroso le fondamenta della diplomazia umanitaria e ridefinito i confini tra attivismo militante e mandato istituzionale.
Questo rapporto si propone di dissezionare, con un livello di dettaglio forense, la parabola che ha portato Francesca Albanese dall'essere una giurista internazionale rispettata, seppur controversa, a diventare la prima funzionaria ONU inserita nella lista nera del Dipartimento del Tesoro statunitense come "Specially Designated National" (SDN). Attraverso l'analisi dei fatti accaduti tra il 2022 e la fine del 2025, emergerà un quadro complesso in cui si intrecciano la guerra asimmetrica a Gaza, le tensioni transatlantiche tra Washington e il Palazzo di Vetro, le dinamiche del capitalismo di sorveglianza digitale e la crisi identitaria della sinistra europea.
L'analisi non si limiterà a catalogare gli eventi, ma tenterà di svelare le dinamiche di potere sottostanti: come è stato possibile che un Relatore Speciale ONU arrivasse a definire l'assalto a un giornale un "monito" necessario? Quali sono le implicazioni giuridiche ed economiche del suo attacco frontale ai giganti del Big Tech nel report "Economy of Genocide"? E soprattutto, cosa ci dice il "Caso Albanese" sullo stato di salute della democrazia liberale, stretta tra la polarizzazione radicale e la reazione securitaria? Il documento che segue è un viaggio nell'anatomia di un collasso, dove la diplomazia cede il passo al conflitto aperto e le parole perdono la loro funzione mediatrice per diventare armi contundenti.
Parte I: Il Punto di Rottura – Torino, Novembre 2025
Nel pomeriggio del 29 novembre 2025, la città di Torino è diventata il teatro di uno scontro simbolico e materiale di inaudita gravità. Un corteo organizzato dall'Unione Sindacale di Base (USB) e da vari collettivi pro-Palestina, che vedeva la partecipazione di figure di spicco dell'attivismo globale come Greta Thunberg e la stessa Francesca Albanese, ha deviato dai binari della protesta pacifica per trasformarsi in azione diretta contro un organo di informazione.
Un gruppo di manifestanti, molti dei quali a volto coperto, ha forzato l'ingresso della sede storica del quotidiano La Stampa. L'azione, che ha i tratti tipici dello squadrismo politico riadattato alle dinamiche del XXI secolo, si è consumata mentre la redazione era paradossalmente sguarnita a causa di uno sciopero dei giornalisti, un dettaglio che aggiunge un livello di grottesca ironia alla vicenda: l'attacco "al potere mediatico" ha colpito un luogo di lavoro in quel momento presidiato solo dai muri e dalle attrezzature. I manifestanti hanno imbrattato le pareti con slogan politici, lanciato fumogeni nei corridoi e rovesciato materiali d'ufficio, in un rituale di profanazione che mirava a intimidire non solo una testata specifica, ma l'intero concetto di informazione "mainstream".
La reazione delle istituzioni italiane è stata immediata e compatta, segnando un raro momento di unità nazionale. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni hanno condannato l'episodio senza riserve, definendolo un attacco al cuore della democrazia. La premier Meloni ha sottolineato come la libertà di stampa sia "un pilastro della nostra democrazia e va difesa sempre, senza ambiguità", ponendo l'accento sulla gravità di un atto che mira a silenziare il dissenso attraverso la coercizione fisica. Anche le opposizioni, dal Partito Democratico con Elly Schlein al Movimento 5 Stelle con Giuseppe Conte, si sono allineate nella condanna, sebbene con sfumature diverse che riflettono le tensioni interne al campo progressista sulla questione palestinese.
Il "Monito" di Albanese: l'ermeneutica della giustificazione
È in questo contesto incandescente che si inserisce l'intervento di Francesca Albanese, destinato a trasformare un grave fatto di cronaca in un incidente diplomatico internazionale. Interpellata a margine della manifestazione, la Relatrice ONU ha rilasciato una dichiarazione che merita di essere analizzata parola per parola per la sua densità ideologica e per le sue conseguenze politiche.
"Condanno l'irruzione al La Stampa [...] non bisogna commettere atti di violenza nei confronti di nessuno, ma questo deve essere anche un monito alla stampa per tornare a fare il proprio lavoro, per riportare i fatti al centro del nuovo lavoro e, se riuscissero a permetterselo, anche un minimo di analisi e contestualizzazione".
L'uso della congiunzione avversativa "ma" e l'introduzione del concetto di "monito" operano uno slittamento semantico fondamentale. Mentre la prima parte della frase assolve al dovere formale di condanna della violenza, la seconda parte ne neutralizza l'efficacia etica, fornendo una razionalizzazione politica dell'atto. Nel linguaggio di Albanese, l'irruzione violenta cessa di essere un reato per diventare un atto pedagogico, un segnale di avvertimento ("monito") inviato a una classe giornalistica colpevole, a suo dire, di non "fare il proprio lavoro".
Questa retorica non è nuova negli ambienti radicali, ma assume una gravità senza precedenti quando pronunciata da un alto funzionario delle Nazioni Unite. Il "monito" implica una gerarchia morale in cui l'attivista, detentore della verità sul genocidio, si arroga il diritto di disciplinare il giornalista. La reazione della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI) è stata veemente: la segretaria Alessandra Costante ha definito le parole "pericolose e penose", evidenziando come esse legittimino implicitamente future aggressioni contro i cronisti, trasformandoli in bersagli legittimi della rabbia politica.
Le reazioni politiche e la frattura a sinistra
Le parole di Albanese hanno agito come un detonatore nel già fragile panorama politico italiano. Giorgia Meloni ha colto l'occasione per attaccare non solo la Relatrice, ma l'intera cultura politica che essa rappresenta, affermando che "è molto grave che... qualcuno arrivi a suggerire che la responsabilità sia - anche solo in parte - della stampa stessa". Questa posizione ha messo in estrema difficoltà il Partito Democratico e le amministrazioni locali di centrosinistra che, fino a quel momento, avevano offerto sponde istituzionali ad Albanese.
A Bologna, dove era in corso l'iter per il conferimento della cittadinanza onoraria alla giurista, la situazione è precipitata. Il sindaco Matteo Lepore, inizialmente favorevole, ha bruscamente congelato la procedura dichiarando: "Penso che abbiamo cose più importanti di cui occuparci". A Firenze, la sindaca Sara Funaro è stata ancora più esplicita, definendo le parole sulla stampa "incompatibili con la cittadinanza onoraria" e sottolineando che "non ci possono essere condanne con i 'ma'". Questo isolamento politico segna la fine dell'idillio tra Albanese e la sinistra istituzionale, costretta a scegliere tra la solidarietà alla causa palestinese e la difesa dei principi liberali fondamentali come la libertà di stampa e il rifiuto della violenza politica.
Parte II: l'eccezione Americana – le sanzioni OFAC (luglio 2025)
Se i fatti di Torino rappresentano il fronte interno della crisi, l'evento sismico che ha scosso le fondamenta della diplomazia internazionale si è verificato quattro mesi prima, il 9 luglio 2025. In una mossa senza precedenti nella storia delle relazioni tra Stati Uniti e Nazioni Unite, l'Office of Foreign Assets Control (OFAC) del Dipartimento del Tesoro americano ha inserito Francesca Paola Albanese nella Specially Designated Nationals and Blocked Persons List (SDN List).
Per comprendere la portata di questa decisione, è necessario analizzare la natura della SDN List. Essa è lo strumento principale della guerra economica statunitense, solitamente riservato a terroristi globali, signori della droga, proliferatori di armi di distruzione di massa e funzionari di regimi considerati "Stati canaglia" (come Iran, Corea del Nord o Venezuela). Inserire un Relatore Speciale dell'ONU, cittadino di un paese alleato (l'Italia), in questa lista equivale a una dichiarazione di guerra diplomatica totale.
Le motivazioni legali e politiche: L'Executive Order 14203
La base giuridica della sanzione risiede nell'Executive Order 14203, emanato dall'amministrazione Trump e attuato con zelo dal Segretario di Stato Marco Rubio. Le motivazioni ufficiali del Tesoro USA dipingono Albanese non come un osservatore neutrale, ma come un attore ostile impegnato in una campagna di "guerra politica ed economica contro gli Stati Uniti e Israele".
Le accuse specifiche si articolano su tre pilastri:
Fomentazione dell'antisemitismo: L'accusa si basa su una serie di dichiarazioni pubbliche e post sui social media, tra cui il famigerato confronto tra Netanyahu e Hitler (analizzato in seguito) e commenti risalenti al 2014 sulla "lobby ebraica".
Sostegno al terrorismo: Il Dipartimento di Stato cita la partecipazione di Albanese a eventi finanziati da organizzazioni legate a Hamas e le sue dichiarazioni che, secondo Washington, "implicano una giustificazione della violenza" del 7 ottobre.
Lawfare economico: Il rapporto del giugno 2025 contro le corporation americane (Amazon, Google, Microsoft) è stato interpretato come un attacco diretto agli interessi economici strategici degli USA, sotto la copertura del mandato ONU.
Le conseguenze operative: la "morte civile" finanziaria
L'inclusione nella SDN List comporta conseguenze immediate e devastanti per l'individuo colpito, che vanno ben oltre il semplice divieto di viaggio.
Congelamento degli asset: Tutti i beni di Albanese sotto giurisdizione USA sono bloccati.
Divieto di transazioni: A nessun cittadino o ente statunitense (incluse banche, compagnie aeree, fornitori di software) è permesso interagire economicamente con lei. Questo significa, in pratica, l'impossibilità di usare carte di credito emesse dai circuiti Visa/Mastercard, di accedere a conti bancari internazionali (che temono sanzioni secondarie) o persino di utilizzare piattaforme digitali americane.
General License 8: L'OFAC ha dovuto emettere una licenza speciale ("General License 8") per autorizzare le transazioni strettamente necessarie alla chiusura dei rapporti ("wind down") con la giurista, una procedura tecnica che sottolinea la gravità della misura.
La reazione delle Nazioni Unite è stata di sdegno impotente. Un gruppo di esperti ONU, tra cui Mary Lawlor e Ben Saul, ha definito le sanzioni un "affronto disgraziato alla giustizia internazionale", mentre Amnesty International ha parlato di una manovra per proteggere Israele dallo scrutinio legale. Tuttavia, la realpolitik ha prevalso: l'operatività di Albanese è stata mutilata, rendendo evidente la vulnerabilità dei funzionari internazionali di fronte alla coercizione economica dell'egemone globale.
Parte III: Lawfare Corporativo – Il Report "Economy of Genocide" (Giugno 2025)
Prima di essere colpita dalle sanzioni, Albanese aveva lanciato la sua offensiva più ambiziosa e, per molti versi, più rischiosa. Nel giugno 2025, ha presentato al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite un rapporto intitolato "Dall'economia dell'occupazione all'economia del genocidio" (From economy of occupation to economy of genocide). Questo documento segna un cambio di paradigma radicale nella strategia di pressione su Israele: il bersaglio non è più solo lo Stato ebraico, ma l'intera infrastruttura del capitalismo globale che, secondo Albanese, sostiene e rende possibile l'occupazione e il presunto genocidio.
Il rapporto identifica 48 entità aziendali principali, accusandole di far parte di una "impresa criminale congiunta". La lista è un "who's who" dell'economia occidentale:
Tecnologia e Sorveglianza: Alphabet (Google), Amazon, Microsoft, Palantir, IBM, HP.
Difesa e Sicurezza: Elbit Systems, Lockheed Martin.
Finanza: Barclays, BlackRock.
Turismo e Servizi: Airbnb, Booking.com, Expedia.
Project Nimbus: Il cuore tecnologico della controversia
L'attacco più virulento è riservato al "Project Nimbus", un contratto da 1,2 miliardi di dollari firmato nel 2021 tra il governo israeliano, Google e Amazon per la fornitura di servizi di cloud computing e intelligenza artificiale.18 Secondo il rapporto di Albanese, supportato da inchieste giornalistiche citate nel testo, questo progetto non è una semplice fornitura di servizi IT, ma un'arma strategica.
L'analisi tecnica contenuta nel report evidenzia tre criticità maggiori:
Infrastruttura Dual-Use: I servizi cloud forniti da Google e Amazon (AWS) permettono all'esercito israeliano (IDF) di processare enormi quantità di dati per scopi di sorveglianza, riconoscimento facciale e targeting assistito dall'AI. Il rapporto sostiene che queste tecnologie hanno "facilitato l'assalto biennale alla Striscia di Gaza".
Sovranità dei Dati e Clausole di Non-Interferenza: Il contratto obbligherebbe le aziende a fornire servizi senza possibilità di interromperli, nemmeno in caso di violazioni dei diritti umani o di pressioni da boicottaggio (BDS). Le aziende avrebbero accettato di "notificare segretamente Israele" se tribunali stranieri richiedessero dati, aggirando di fatto le leggi internazionali sulla trasparenza.
Profitto dal Genocidio: Albanese usa termini fortissimi, accusando queste aziende di aver realizzato "profitti senza precedenti dal massacro di oltre 62.000 palestinesi dall'ottobre 2023".
Le implicazioni per il diritto internazionale e le reazioni
La tesi giuridica di Albanese è che, fornendo strumenti essenziali per la conduzione della guerra e l'amministrazione dell'occupazione, queste aziende non sono semplici fornitori terzi, ma complici diretti in crimini di guerra e crimini contro l'umanità. Il rapporto invita gli Stati e gli investitori a disinvestire immediatamente, citando come esempio positivo il caso di Microsoft, che avrebbe revocato l'accesso ad alcune parti della sua piattaforma Azure dopo rivelazioni sull'uso improprio dei dati, in contrasto con la rigidità contrattuale di Google e Amazon.
Questa strategia di "name and shame" applicata ai giganti di Wall Street ha provocato una reazione difensiva immediata negli Stati Uniti. È ragionevole ipotizzare una correlazione diretta tra la pubblicazione di questo rapporto a giugno e l'accelerazione delle sanzioni del Tesoro USA a luglio. Attaccando il "Project Nimbus", Albanese ha toccato un nervo scoperto della sicurezza nazionale americana e israeliana: la sovranità digitale e l'integrazione tra Silicon Valley e apparati di difesa.
Parte IV: Le Radici della Discordia – Antisemitismo, Antisionismo e la "Lobby"
Per comprendere l'accanimento delle istituzioni ebraiche e americane contro Francesca Albanese, è necessario scavare nel suo passato digitale. La "pistola fumante" spesso citata dai suoi accusatori è un post su Facebook del 2014, riemerso grazie al lavoro di UN Watch. In quel testo, scritto durante l'operazione "Protective Edge", Albanese affermava:
"L'America e l'Europa, una soggiogata dalla lobby ebraica e l'altra dal senso di colpa per l'Olocausto, restano in disparte".
L'uso dell'espressione "lobby ebraica" (invece del più politicamente corretto "lobby pro-Israele" o AIPAC) e il verbo "soggiogata" (subjugated) evocano tropi classici della cospirazione antisemita, che dipingono gli ebrei come una potenza occulta capace di manipolare i governi mondiali contro i loro stessi interessi. Sebbene Albanese abbia successivamente tentato di contestualizzare queste parole, definendole un'analisi politica mal formulata e non un attacco etnico, la macchia è rimasta indelebile. Per il Dipartimento di Stato USA e per organizzazioni come la Combat Antisemitism Movement (CAM), questo post è la prova che il suo mandato non è guidato dai diritti umani, ma da un pregiudizio radicato.
Il parossismo del 2025: Il confronto Netanyahu-Hitler
La polemica è esplosa nuovamente, con virulenza ancora maggiore, nel corso del 2025. Un altro incidente sui social media ha coinvolto l'approvazione pubblica (tramite un commento su X) di un post che giustapponeva un'immagine di Adolf Hitler acclamato dalla folla nazista a una foto di Benjamin Netanyahu accolto trionfalmente dal Congresso degli Stati Uniti. Il post originale recitava "La storia guarda", e Albanese ha commentato: "È esattamente quello che stavo pensando oggi".
Questa equiparazione ha scatenato una tempesta diplomatica. Paragonare il leader di uno Stato democratico, per quanto criticabile per la condotta bellica, all'artefice della Shoah viola esplicitamente la definizione di antisemitismo dell'IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), adottata da molti governi occidentali. Le reazioni sono state durissime:
Stati Uniti: L'ambasciatrice Linda Thomas-Greenfield ha dichiarato Albanese "inadatta a servire" le Nazioni Unite.
Francia e Germania: I rispettivi Ministeri degli Esteri hanno condannato il paragone come "una disgrazia" e una banalizzazione dell'Olocausto.
Israele: Ha utilizzato l'incidente per chiedere ufficialmente la rimozione della Relatrice, definendola un'attivista antisemita mascherata da funzionario ONU.
Nonostante la gravità delle accuse, Albanese ha mantenuto il sostegno di una parte significativa della comunità accademica e delle ONG. Nel 2025, come già accaduto nel 2022, centinaia di studiosi e organizzazioni come Jewish Voice for Peace hanno firmato appelli in sua difesa, sostenendo che le accuse di antisemitismo vengono "strumentalizzate" (weaponized) per mettere a tacere le critiche legittime alle politiche israeliane e distogliere l'attenzione dal contenuto dei suoi rapporti sul genocidio.
Parte V: La Pista Australiana e i Finanziamenti Ombra
Un'altra linea di frattura che ha minato la credibilità istituzionale di Albanese riguarda la gestione finanziaria del suo mandato. Un'inchiesta approfondita, promossa inizialmente da UN Watch e ripresa da diverse testate internazionali, ha rivelato irregolarità in un viaggio compiuto dalla Relatrice in Australia nel novembre 2023 (con ripercussioni investigative estese al 2025).
Secondo le regole delle Nazioni Unite, i Relatori Speciali devono mantenere una rigorosa indipendenza finanziaria o dichiarare trasparentemente ogni sponsorizzazione esterna. L'indagine ha rivelato che il viaggio in Australia, costato circa 20.000 dollari, non è stato finanziato dal budget ONU, ma da una rete di gruppi di pressione, tra cui l'Australian Friends of Palestine Association (AFOPA). Albanese è stata accusata di aver tentato di nascondere la vera origine dei fondi, dichiarando inizialmente che il viaggio fosse istituzionale, per poi ammettere il sostegno esterno solo dopo che le prove erano divenute pubbliche. Questo comportamento è stato bollato come "cattiva condotta finanziaria" (financial misconduct) e ha portato all'apertura di un'indagine interna all'ONU.
L'elogio a Sinwar e la contiguità con Hamas
L'aspetto più inquietante della "pista australiana" non è tanto contabile quanto politico. Le organizzazioni che hanno finanziato il tour di Albanese non sono semplici gruppi umanitari, ma entità con posizioni ideologiche radicali. Durante uno degli eventi pubblici finanziati da questi gruppi, a cui Albanese presenziava, è stato letto ad alta voce il testamento di Yahya Sinwar, il leader di Hamas responsabile della pianificazione del massacro del 7 ottobre. Il testo è stato definito dagli organizzatori "poetico e commovente".
La mancata dissociazione immediata di Albanese da questa celebrazione di un terrorista riconosciuto a livello internazionale è stata interpretata come un segno di contiguità ideologica. Per i critici, accettare denaro da chi esalta Sinwar e tacere di fronte alla sua glorificazione incompatibilizza definitivamente Albanese con il ruolo di arbitro imparziale dei diritti umani. L'episodio ha fornito ulteriore materiale al Tesoro USA per giustificare l'accusa di "sostegno al terrorismo" contenuta nel provvedimento di sanzione.
Parte VI: Il Fronte Interno – L'Imbarazzo della Sinistra Italiana
Mentre a livello globale infuriava la battaglia diplomatica, in Italia si consumava un dramma politico minore ma altamente significativo. Il Comune di Bologna, storica roccaforte della sinistra italiana, aveva avviato nel 2025 l'iter per conferire la cittadinanza onoraria a Francesca Albanese, riconoscendo nel suo lavoro un baluardo contro le violazioni dei diritti umani a Gaza. La proposta, spinta da Coalizione Civica e da parte del Partito Democratico (PD), sembrava destinata a una rapida approvazione.
Tuttavia, l'accumularsi delle controversie internazionali e, soprattutto, l'incidente di Torino con l'attacco a La Stampa, hanno inceppato il meccanismo. L'opposizione di centrodestra ha montato una campagna martellante, ma è stato il ripensamento interno al PD a determinare lo stallo. Il sindaco Matteo Lepore, percependo il cambio di vento e l'imbarazzo per le dichiarazioni di Albanese contro i giornalisti, ha imposto un brusco stop. La sua dichiarazione ("Abbiamo cose più importanti") è la pietra tombale su un riconoscimento che era diventato politicamente tossico.
La vicenda di Bologna, replicata con dinamiche simili a Firenze e Napoli, evidenzia la difficoltà del PD di Elly Schlein nel tenere insieme le due anime del partito: quella istituzionale e atlantista, che non può tollerare ambiguità su antisemitismo e libertà di stampa, e quella radicale e movimentista, che vede in Albanese un'eroina della causa palestinese.
Il fattore familiare: Massimiliano Calì e la Banca Mondiale
A complicare ulteriormente la posizione di Albanese è emerso il ruolo pubblico del marito, Massimiliano Calì, economista presso la Banca Mondiale. Indagini di UN Watch hanno portato alla luce una serie di post sui social media in cui Calì esprimeva posizioni virulentemente anti-americane e anti-israeliane. In particolare, Calì ha accusato gli Stati Uniti di fornire armi a Israele con l'intento specifico di "uccidere più bambini palestinesi" e ha definito il Partito Democratico italiano "uno dei più grandi ostacoli al progresso umano e politico dell'Italia".
Sebbene le opinioni del marito non siano giuridicamente imputabili alla moglie, politicamente esse rafforzano la narrazione di una "coppia ideologica" inserita nei gangli delle istituzioni internazionali (ONU e Banca Mondiale) per promuovere un'agenda radicale dall'interno. Le richieste di licenziamento rivolte alla Banca Mondiale per i commenti di Calì hanno aggiunto un ulteriore livello di pressione sulla famiglia Albanese, contribuendo alla percezione di un assedio totale.
Parte VII: Dottrina Giuridica o Attivismo Politico?
Al di là delle controversie mediatiche, il cuore del conflitto tra Albanese e l'establishment occidentale è dottrinale. Albanese sostiene una tesi giuridica radicale: Israele, in quanto potenza occupante, non ha il diritto di invocare l'Articolo 51 della Carta ONU (diritto all'autodifesa) contro attacchi provenienti dal territorio che occupa (Gaza). Secondo questa interpretazione, le azioni militari di Israele a Gaza non possono mai qualificarsi come legittima difesa, ma sono sempre atti di aggressione o di polizia coloniale.
Questa posizione, ribadita in discorsi pubblici e rapporti ufficiali, è stata contestata da numerosi giuristi internazionali e dalla maggior parte dei governi occidentali, che riconoscono a Israele il diritto di difendersi da Hamas, un attore non statale con capacità militari quasi convenzionali. La rigidità di Albanese su questo punto ("Il diritto all'autodifesa può essere invocato quando uno Stato è minacciato da un altro Stato, e non è questo il caso") la pone in rotta di collisione con la realtà fattuale del 7 ottobre e con la necessità di garantire la sicurezza dei civili israeliani.
La riabilitazione sociale di Hamas
Ancora più controversa è la sua lettura sociologica di Hamas. In un discorso tenuto in Sicilia nell'agosto 2025, Albanese ha tentato di decostruire la demonizzazione del gruppo, affermando:
"Io non credo che la gente abbia idea e contezza di che cosa sia Hamas... Hamas gestisce scuole, ospedali...".
Questa retorica, volta a presentare Hamas come un attore sociale complesso e non solo come un gruppo terroristico, ignora volutamente la natura totalitaria del regime di Hamas a Gaza e l'uso sistematico delle infrastrutture civili per scopi militari (i cosiddetti "scudi umani"), ampiamente documentato da intelligence indipendenti. Nel tentativo di "umanizzare" il nemico di Israele, Albanese ha finito per apparire come un'apologeta del terrore, fornendo argomenti ai suoi detrattori che la accusano di aver perso ogni bussola morale.
Un Ordine Mondiale in Frantumi
Il "Caso Albanese" trascende la biografia di una singola funzionaria per diventare la cartina di tornasole di un ordine mondiale in disfacimento. La sua parabola, culminata nelle sanzioni americane e nell'isolamento politico in patria, illustra vividamente tre fenomeni interconnessi:
La crisi dell'ONU: Le Nazioni Unite appaiono oggi come un gigante paralizzato, incapace di gestire i propri funzionari e di proteggerli dall'ira delle grandi potenze, ma al contempo incapace di garantire che i propri rappresentanti rispettino gli standard di neutralità necessari per la credibilità dell'istituzione.
La fine della distinzione tra diritto e politica: Con il concetto di "lawfare", il diritto internazionale ha cessato di essere un linguaggio comune per la risoluzione dei conflitti ed è diventato un'arma da guerra asimmetrica. I rapporti di Albanese non mirano al compromesso, ma alla delegittimazione totale dell'avversario (Israele e le corporation occidentali), provocando una reazione altrettanto brutale (le sanzioni).
Il suicidio della diplomazia: Quando un diplomatico (o assimilato) giustifica l'assalto ai giornali come "monito" e viene sanzionato come un terrorista, lo spazio per il dialogo si chiude. Resta solo lo scontro nudo e crudo.
Francesca Albanese ha scelto di interpretare il suo ruolo non come un notaio della realtà, ma come un profeta armato di penna. Nel farlo, ha sicuramente sollevato questioni cruciali sulla sofferenza palestinese e sulle responsabilità delle aziende globali. Ma il prezzo pagato è stato la distruzione della sua stessa agibilità politica e diplomatica. In un mondo polarizzato, non c'è più spazio per le sfumature: o si è "Specially Designated Nationals" o si è campioni della libertà. E in questa dicotomia manichea, la verità, e la pace, sono le prime vittime.
