La morte di Papa Francesco: commemorazione e analisi del pontificato
Papa Francesco, una figura che ha trasformato la Chiesa e il mondo con il suo stile unico e le sue scelte audaci. In questo articolo, analizziamo la sua eredità, dalle riforme interne alla Chiesa alle sue battaglie per la giustizia sociale, il cambiamento climatico e la pace. Un viaggio che svela chi fosse davvero questo Papa e come la sua politica abbia lasciato un segno indelebile sulla storia contemporanea. Un'analisi profonda su uno dei pontificati più rivoluzionari della storia recente.
4/27/202512 min read
Sommario
Commemorazione della scomparsa e importanza storica
Chi era Papa Francesco
Dall’Argentina al soglio pontificio
Il pontificato: opere e iniziative principali
Un Papa “politico”: scelte, orientamenti e riforme
L’eredità di Papa Francesco
Commemorazione della scomparsa e importanza storica
Papa Francesco, nato Jorge Mario Bergoglio, si è spento alle ore 7:35 del 21 aprile 2025 all’età di 88 anni. La causa del decesso, secondo il referto ufficiale vaticano, è stata un ictus cerebrale, seguito da coma e collasso cardiocircolatorio irreversibile. La notizia della sua morte ha suscitato profondo cordoglio nel mondo: molti hanno ricordato il Pontefice come “un simbolo di tolleranza, amore e fratellanza”, sottolineando la grande perdita non solo per i cattolici, ma anche per la comunità internazionale. Bergoglio è stato una figura storica per diversi motivi: primo Papa gesuita e primo proveniente dall’America Latina, il“pontefice venuto dalla fine del mondo”, che ha segnato una svolta nella storia della Chiesa. Durante quasi dodici anni di pontificato ha avviato riforme significative e lanciato messaggi entrati nella storia – dal clima, ai migranti, fino alla giustizia sociale – lasciando un’impronta indelebile nell’opinione pubblica globale. Con la sua scomparsa, la Chiesa cattolica e il mondo intero rendono omaggio a un Papa che ha saputo farsi prossimo agli ultimi e guidare la Chiesa in un’epoca di grandi cambiamenti.
Chi era Papa Francesco
Jorge Mario Bergoglio nacque a Buenos Aires, in Argentina, il 17 dicembre 1936, da una famiglia di immigrati italiani originari del Piemonte. Suo padre Mario era impiegato ferroviario e contabile, mentre sua madre Regina Sivori si occupava della casa e dei cinque figli. Da giovane conseguì il diploma come perito chimico, ma presto scelse la vocazione religiosa: entrò in seminario e, l’11 marzo 1958, iniziò il noviziato nella Compagnia di Gesù (i Gesuiti). Completò gli studi umanistici in Cile e si laureò in filosofia a San Miguel, in Argentina. Venne ordinato sacerdote il 13 dicembre 1969.
Durante i primi anni di ministero fu docente di letteratura e psicologia in collegio e proseguì la formazione teologica, emettendo i voti perpetui come gesuita nel 1973. Proprio nel 1973 fu nominato Provinciale (superiore) dei Gesuiti in Argentina, incarico che ricoprì fino al 1979. In seguito servì come rettore di facoltà teologiche e come padre spirituale nella città di Córdoba. La sua profonda spiritualità e attenzione ai temi sociali lo resero una figura di riferimento nella Chiesa argentina, specialmente durante la crisi economica che sconvolse il Paese nel 2001.
Il 20 maggio 1992 Papa Giovanni Paolo II lo nominò vescovo ausiliare di Buenos Aires. Ricevette l’ordinazione episcopale il 27 giugno 1992 e scelse come motto “Miserando atque eligendo”. Nel giugno 1997 divenne arcivescovo coadiutore e, alla morte del cardinale Antonio Quarracino, il 28 febbraio 1998 gli succedette come Arcivescovo di Buenos Aires, diventando primate d’Argentina. Giovanni Paolo II lo creò cardinale nel concistoro del 21 febbraio 2001, assegnandogli il titolo di San Roberto Bellarmino. In quegli anni Bergoglio continuò a vivere con semplicità, spostandosi in autobus e mantenendo uno stile pastorale vicino alla gente comune. Dal 2005 al 2011 fu anche presidente della Conferenza Episcopale Argentina, contribuendo all’elaborazione del documento di Aparecida (2007) che tracciava le linee per la missione della Chiesa in America Latina. Questa esperienza lo consolidò come uno dei leader più influenti dell’episcopato latinoamericano.
Dall’Argentina al soglio pontificio
Nel 2005 il cardinale Bergoglio partecipò al conclave seguito alla morte di Giovanni Paolo II, in cui venne eletto Benedetto XVI. Si racconta che in quell’occasione emerse come uno dei cardinali più votati dopo Joseph Ratzinger, segno della considerazione di cui già godeva tra i porporati. Dopo otto anni, avvenne un fatto senza precedenti in epoca moderna: nel febbraio 2013 Papa Benedetto XVI abdicò, rinunciando al ministero petrino. Questa storica rinuncia spianò la strada a un nuovo conclave nel marzo 2013.
Il cardinale Jorge Mario Bergoglio giunse a Roma per il conclave deciso a trovare soluzioni per una Chiesa bisognosa di rinnovamento. Al quinto scrutinio del 13 marzo 2013, venne eletto 266º Pontefice della Chiesa cattolica. Scelse il nome Francesco in onore di San Francesco d’Assisi, indicando fin da subito il programma del suo papato improntato a povertà, pace e cura del Creato. L’elezione di Bergoglio fu rivoluzionaria: primo Papa latinoamericano e primo gesuita a salire al soglio di Pietro. Inoltre, fu il primo pontefice dell’era contemporanea eletto mentre il suo predecessore era ancora in vita, fatto che sottolineò il carattere eccezionale della situazione.
Affacciandosi alla Loggia centrale di San Pietro la sera dell’elezione, Papa Francesco colpì il mondo con la sua semplicità disarmante: il saluto “Buonasera” e la richiesta di pregare per lui segnalarono uno stile pastorale nuovo, umile e vicino alla gente. Si presentò come “il vescovo di Roma” più che come un sovrano, indicando una volontà di collegialità. Poco dopo decise di non abitare nei sontuosi appartamenti papali, ma di risiedere nella foresteria di Casa Santa Marta, continuando a indossare la croce di ferro che portava da arcivescovo. Questi gesti iniziali preannunciavano che il pontificato di Francesco sarebbe stato diverso nei toni e nelle priorità, più attento alle “periferie” che ai palazzi. Il mondo imparava a conoscere un Papa venuto “dalla fine del mondo” ma capace di parlare al cuore di milioni di persone con autenticità e calore umano.
Il pontificato: opere e iniziative principali
Durante il suo pontificato (2013-2025), Papa Francesco ha intrapreso un vasto programma di riforme interne, iniziative pastorali e interventi pubblici. Ecco alcuni dei principali fatti e atti che hanno caratterizzato il suo pontificato:
Riforma della Curia Romana: fin dall’inizio Francesco ha istituito un Consiglio di 8 cardinali (poi allargato a 9) per consigliarlo nel governo della Chiesa e riformare la Curia vaticana. Dopo anni di lavoro, nel 2022 ha promulgato la nuova costituzione “Praedicate Evangelium”, riorganizzando i dicasteri vaticani. Questa riforma ha aperto per la prima volta ruoli di alto livello a laici e donne nei governi dei dicasteri romani, rompendo antiche consuetudini di esclusiva clericale. L’obiettivo dichiarato era rendere la struttura di governo della Chiesa più snella, trasparente e orientata alla missione evangelizzatrice.
Trasparenza finanziaria: il pontificato di Francesco si distingue per un maggior controllo delle finanze vaticane dopo gli scandali che avevano colpito lo IOR (la “banca vaticana”) negli anni precedenti. Ha creato nuovi enti di vigilanza economica (come la Segreteria per l’Economia) e avviato bonifiche nella gestione finanziaria della Santa Sede. Ad esempio, ha centralizzato gli investimenti, imposto regole più rigorose sugli appalti e fatto maggiore trasparenza nei bilanci, per combattere la corruzione e gli sprechi. Pur tra resistenze e difficoltà, queste misure hanno migliorato la reputazione finanziaria vaticana e affrontato problemi annosi.
Documenti chiave e insegnamento: Papa Francesco ha prodotto un ricco magistero. Tra i documenti più importanti spiccano le encicliche “Laudato si’” (2015), sul rispetto dell’ambiente e la cura del Creato, e “Fratelli tutti” (2020), sulla fraternità universale e il dialogo sociale. Questi testi hanno avuto risonanza globale, ponendo la Chiesa al centro di temi come il cambiamento climatico e la costruzione della pace. In ambito ecclesiale, la sua prima esortazione apostolica “Evangelii gaudium” (2013) è stata considerata il programma del pontificato, invitando a una Chiesa “in uscita” missionaria e vicina ai poveri. L’esortazione “Amoris laetitia” (2016), nata dai due Sinodi sulla famiglia, ha aperto con prudenza alla possibilità di reintegrare pastoralmente i divorziati risposati, segnando un approccio più misericordioso alle situazioni familiari complesse. Inoltre, Francesco ha operato modifiche dottrinali significative: ha dichiarato la pena di morte “inadmissibile” (inammissibile) modificando il Catechismo della Chiesa Cattolica, e ha abolito il segreto pontificio nei casi di abusi sessuali per favorire la trasparenza e la collaborazione con la giustizia civile. Queste decisioni evidenziano la volontà di aggiornare l’insegnamento e la prassi della Chiesa in linea con la dignità della persona e la tolleranza zero verso la corruzione morale.
Impegno verso poveri e fragili: fedele al suo nome, Francesco ha posto i poveri e gli emarginati al centro del suo ministero. Ha spesso parlato di “Chiesa povera per i poveri” e denunciato la “cultura dello scarto” e la “globalizzazione dell’indifferenza”, espressioni forti contro un sistema che emargina i deboli. Nel 2017 ha istituito la Giornata Mondiale dei Poveri, in cui pranzava simbolicamente con persone senzatetto e indigenti nell’Aula Paolo VI in Vaticano. Ha visitato ospedali, carceri, favelas e campi profughi, portando conforto e attenzione mediatica a chi soffre. In particolare, Papa Francesco ha difeso con vigore gli immigrati e rifugiati: sin dal suo primo viaggio a Lampedusa (luglio 2013) ha denunciato le tragedie dei migranti morti in mare. Ha coniato quattro verbi programmatici – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – come linea guida per le politiche migratorie, definendo le migrazioni “una delle più grandi tragedie di questo secolo”. Questo costante richiamo ha sensibilizzato l’opinione pubblica e i governi sul dramma dei migranti, ma ha anche attirato critiche da parte di correnti politiche contrarie all’accoglienza.
Dialogo interreligioso ed ecumenico: Francesco ha compiuto gesti storici per il dialogo tra fedi. Nel 2014 ha pregato in Vaticano con i leader israeliano e palestinese per la pace in Terra Santa. Nel febbraio 2019, durante un viaggio negli Emirati Arabi Uniti (primo Pontefice a visitare la Penisola Arabica), ha firmato insieme al Grande Imam di Al-Azhar il Documento sulla Fratellanza Umana, un testo di portata epocale che promuove la pace e la convivenza tra cristiani e musulmani. Inoltre, è stato il primo papa a visitare l’Iraq (marzo 2021), compiendo un pellegrinaggio di riconciliazione nelle terre martoriate dalla guerra e incontrando il prestigioso ayatollah sciita Al-Sistani. Sul fronte ecumenico, ha rafforzato i rapporti con la Chiesa ortodossa (storico l’abbraccio con il Patriarca di Mosca Kirill a Cuba nel 2016) e con le Chiese protestanti, spingendo verso una maggiore unità nella diversità.
Diplomazia e pace nel mondo: Papa Francesco ha esercitato un ruolo di primo piano sulla scena internazionale con la cosiddetta “diplomazia della misericordia” o soft power vaticano. Un successo emblematico è stata la mediazione tra Stati Uniti e Cuba: nel 2014 il Papa agì da catalizzatore per favorire il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Washington e L’Avana, ospitando gli ultimi colloqui in Vaticano sotto la sua guida. Sia l’allora presidente USA Barack Obama che il leader cubano Raúl Castro riconobbero il ruolo cruciale di Francesco nell’accordo storico. Inoltre, il Pontefice ha sempre cercato il dialogo con tutte le nazioni: nel 2018/2019 la Santa Sede ha siglato un accordo provvisorio con la Cina sulla nomina dei vescovi (rinnovato successivamente), nel tentativo di sanare una frattura decennale e garantire unità ai cattolici cinesi. Questo tentativo di apertura verso Pechino, pur criticato da alcuni, riflette la sua strategia di seminare spiragli di dialogo anche dove sembra impossibile. Francesco si è impegnato come costruttore di pace in molti contesti: ha lanciato appelli accorati per la fine delle guerre in Siria, Yemen, Ucraina, Terra Santa e altri teatri di conflitto, definendo la guerra “sempre una sconfitta per l’umanità”. Ha promosso giornate di preghiera e digiuno per la pace e compiuto gesti inusuali, come recarsi personalmente all’ambasciata russa presso la Santa Sede all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina (febbraio 2022) per offrire mediazione. Più volte ha condannato il commercio delle armi, proponendo di dirottare le ingenti spese militari verso un “Fondo mondiale” per sradicare la fame nel mondo. Celebre il suo invito a “costruire ponti e non muri”, frase simbolo della sua visione di un mondo più unito e solidale. Infine, nel 2020, nel pieno della pandemia da Covid-19, Francesco offrì un’immagine potentissima di speranza al mondo: solo, sotto la pioggia in Piazza San Pietro deserta, impartì la benedizione Urbi et Orbi straordinaria del 27 marzo 2020 (Statio Orbis), pregando per la fine della pandemia. Quell’icona del Papa solitario in preghiera rimarrà nella memoria collettiva come simbolo di fede e resilienza di fronte alla crisi globale.
Un Papa “politico”: scelte, orientamenti e riforme
Oltre che pastore spirituale, Papa Francesco è stato anche un leader dal forte impatto politico (nel senso più ampio e nobile del termine). Sin dall’inizio, egli ha inserito la voce della Chiesa nel dibattito pubblico globale su temi etici, sociali e ambientali, assumendo posizioni chiare su questioni di rilevanza planetaria. Il suo pontificato ha privilegiato il dialogo e il confronto rispetto all’imposizione autoritaria: Francesco ha spesso incoraggiato un dibattito aperto sia nella Chiesa che nella società, anche a costo di apparire “scomodo”. Jason Horowitz del New York Times ha osservato che i cattolici si aspettavano forse una rivoluzione dottrinale da lui, ma Francesco ne ha attuata un’altra: ha aperto processi di cambiamento più che imporre soluzioni immediate, puntando sul dibattito e sullo stile più che su riforme lampo. Il Papa ha deluso alcuni tradizionalisti e insieme alcuni progressisti, proprio perché ha scelto di camminare con il “popolo di Dio” a piccoli passi: il suo stile rivoluzionario e libero ha suscitato aspettative talora eccessive e contrastanti, sia di chi temeva stravolgimenti sia di chi li auspicava. In realtà, come ha notato lo stesso Horowitz, l’effetto di Francesco è stato “più complesso e, per certi versi, più profondo dei cambiamenti politici o delle riforme specifiche”: egli ha cercato di cambiare la mentalità ecclesiale, richiamando incessantemente la gerarchia a non comportarsi come “prìncipi” ma come servitori del gregge. Questa trasformazione culturale interna – un ritorno allo spirito di servizio evangelico – potrebbe rivelarsi il lascito più duraturo del suo pontificato.
Dal punto di vista dell’orientamento internazionale, Papa Francesco ha spostato l’attenzione della Chiesa verso le sfide del “Sud del mondo”. Ha portato la voce dei Paesi poveri e in via di sviluppo al centro dell’agenda cattolica, denunciando le disuguaglianze globali e le ingiustizie. Più volte ha lanciato strali contro “l’economia che uccide” e “l’idolatria del denaro”, criticando un modello economico liberista che genera esclusione. Al contempo, ha mostrato apertura verso movimenti popolari e governi non occidentali: la sua geopolitica ha privilegiato la diplomazia del dialogo anche con interlocutori difficili. Ad esempio, pur senza mai rinunciare a richiamare al rispetto dei diritti umani, ha scelto di dialogare con regimi autoritari come la Cina, ritenendo che il coinvolgimento sia più fruttuoso dell’isolamento. Questa scelta – concretizzata nell’accordo sulle nomine dei vescovi cinesi – gli ha attirato critiche da parte di chi la vede come un compromesso eccessivo, ma riflette la sua convinzione che la Chiesa debba guadagnare spazi di libertà gradualmente, anche a costo di trattative complesse. Francesco ha anche mantenuto un approccio prudente nei confronti di regimi come quello cubano o quello venezuelano, cercando sempre di tenere aperto un canale di confronto per il bene delle popolazioni. In Occidente, invece, non ha esitato a esprimere posizioni forti su temi etici: ha criticato la xenofobia e il nazionalismo di ritorno (“non si costruiscono muri ma ponti” era un chiaro monito in anni di accese discussioni sui migranti) e ha sostenuto cause come la lotta al cambiamento climatico, trovando sintonia con leader mondiali e istituzioni globali (ONU in primis). Non a caso nel 2015, con l’enciclica Laudato sì, influenzò positivamente i negoziati della COP21 sul clima a Parigi, confermando il ruolo di moral suasion del papato sulla scena internazionale.
Relazioni diplomatiche specifiche hanno segnato il suo stile politico: con gli Stati Uniti ha vissuto fasi alterne, tessendo un ottimo rapporto con l’amministrazione Obama (culminato nella visita negli USA nel 2015, dove fu il primo Papa a parlare al Congresso) e incontrando poi maggiori frizioni con l’amministrazione Trump, specialmente sul tema migratorio e ambientale. In Europa, Francesco ha incoraggiato l’unità continentale ma ha anche pungolato il Vecchio Continente a riscoprire le proprie radici solidali: celebre la sua lettera del 2019 in cui sognava “un’Europa madre accogliente, rispettosa della vita e dei migranti”. Spesso ha rimproverato le istituzioni europee per la gestione poco umana dei flussi migratori nel Mediterraneo. Allo stesso tempo, ha sostenuto con convinzione progetti come l’Accordo di Parigi sul clima e il Patto Globale sulle Migrazioni dell’ONU, allineando la Santa Sede con gli sforzi multilaterali per affrontare sfide planetarie.
Sul fronte della politica interna alla Chiesa, Papa Francesco ha impresso una svolta verso la decentralizzazione e la collegialità. Ha dato forte impulso alla sinodalità, cioè al coinvolgimento attivo di vescovi, clero e laici nel discernimento comune: emblematica è la convocazione del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità (un processo biennale 2021-2024 in cui, per la prima volta, tutto il popolo di Dio è stato consultato alla base). Francesco ha rinnovato la struttura e il funzionamento del Sinodo, permettendo anche a alcuni laici – uomini e donne – di partecipare con diritto di voto, fatto inedito nella storia. Questo metodo indica la visione di una Chiesa più partecipativa e meno verticistica. Inoltre, ha internazionalizzato il Collegio cardinalizio: in 10 concistori ha creato 163 nuovi cardinali, portando molti rappresentanti di Paesi periferici (Asia, Africa, America Latina) e riducendo il peso relativo dell’Europa. Ciò ha dato al futuro conclave un profilo più universale e, potenzialmente, più aperto alle istanze delle giovani Chiese. Non sono mancate resistenze a queste novità: una frangia di cardinali e vescovi di orientamento tradizionalista ha espresso critiche, arrivando a pubblicare lettere di “dubia” (dubbi) su alcuni insegnamenti papali, e accusando Francesco di ambiguità dottrinale. In risposta, il Papa ha mantenuto il dialogo ma anche la fermezza, chiarendo che le riforme mirano a rendere la Chiesa più fedele al Vangelo e non a mutarne la dottrina sostanziale. Emblematico fu il suo commento: “¡Hagan lío!” (“fate chiasso!”) rivolto ai giovani, quasi a legittimare un salutare fermento nella Chiesa.
L’eredità di Papa Francesco
Dal punto di vista politico Papa Francesco è stato un Papa riformatore e “globalista”, nel senso che ha proiettato la Chiesa cattolica in una dimensione più universale, dialogante e impegnata sui grandi temi globali. Le sue scelte coraggiose – dalla priorità agli ultimi, alla diplomazia del dialogo, fino alle riforme di governance ecclesiale – testimoniano una visione di Chiesa “in uscita” dal mero ritualismo per farsi protagonista nella costruzione di un mondo più giusto. Non ha lasciato una sistematica nuova dottrina, ma ha lasciato “un’agenda aperta di riforme per una Chiesa aperta sul mondo”. Il suo impatto si misurerà anche nel futuro: molti analisti sottolineano che il vero testamento politico di Francesco risiede nelle persone da lui scelte – ad esempio nel Collegio cardinalizio rinnovato – che dovranno portare avanti il cammino iniziato. Come ha detto un suo stretto collaboratore, “cambiare il processo è più importante che cambiare il prodotto”: Papa Francesco ha avviato processi destinati a durare. Il prossimo Papa e la Chiesa del futuro erediteranno una comunità più consapevole, meno eurocentrica e orientata al servizio dell’umanità intera. Questa è, in ultima analisi, l’eredità politico-pastorale di Francesco, il Papa che ha incarnato il Vangelo nell’epoca contemporanea con uno stile unico, misericordioso e profetico.
