Le parole di Sanae Takaichi infiammano Pechino
La nuova premier giapponese Sanae Takaichi ha definito Taiwan una “questione di sicurezza esistenziale” per il Giappone, provocando l’ira della Cina. Nell’articolo analizziamo le parole, le reazioni ufficiali di Pechino e Tokyo, e cosa significano queste parole per gli equilibri geopolitici dell’Indo-Pacifico.
11/15/20253 min read


Sommario
Cosa ha dichiarato la premier giapponese
Reazioni da Pechino e Tokyo
Implicazioni geopolitiche nell'Indo-Pacifico
Cosa ha dichiarato la premier giapponese
Sanae Takaichi, nuova prima ministra del Giappone e figura di spicco dell'ala conservatrice, ha suscitato clamore internazionale con alcune affermazioni su Taiwan. Il 7 novembre, intervenendo in parlamento, Takaichi ha avvertito che un'eventuale invasione cinese di Taiwan potrebbe costituire per Tokyo una "minaccia esistenziale" e richiedere una risposta militare giapponese. Mai prima d'ora un capo di governo giapponese si era spinto a prospettare apertamente un coinvolgimento armato in difesa di Taiwan. Questa presa di posizione riflette la linea dura della premier, che considera la sicurezza di Taiwan un elemento centrale per quella del Giappone, in continuità con l'eredità strategica di Shinzo Abe.
Reazioni da Pechino e Tokyo
Le reazioni ufficiali di Pechino sono state immediate e furiose. Il ministero degli Esteri cinese ha convocato l'ambasciatore giapponese per protestare contro le parole "provocatorie" ed "estremamente pericolose" di Takaichi, giudicate una grave interferenza negli affari interni cinesi e “contrarie al principio di un'unica Cina”. Il portavoce diplomatico Lin Jian ha intimato alla premier nipponica di “correggere subito il suo errore e ritrattare la clamorosa dichiarazione, altrimenti dovrà sopportarne tutte le conseguenze”, avvertendo che un intervento militare giapponese nello Stretto di Taiwan sarebbe considerato “un atto di invasione” destinato a incontrare “una forte reazione della Cina”. Non sono mancati toni accesi anche sui media statali cinesi, dove commentatori hanno accusato Takaichi di voler resuscitare il “militarismo giapponese” e l’hanno persino definita una “strega diabolica”, con riferimenti alle atrocità della Seconda guerra mondiale.
Tokyo, dal canto suo, ha cercato di smorzare la tensione. Il governo giapponese ha precisato che la posizione del Paese su Taiwan “resta immutata” e in linea con il Comunicato congiunto nippo-cinese del 1972, in cui Tokyo riconobbe il governo di Pechino. Il segretario di gabinetto Minoru Kihara ha ribadito l'importanza di mantenere “pace e stabilità nello Stretto di Taiwan” e auspicato una soluzione pacifica della questione. In sostanza, il Giappone ha confermato di continuare a rispettare la politica dell'“unica Cina”, pur senza ritrattare le parole di Takaichi. A Tokyo alcuni osservatori hanno attribuito l'incidente all'inesperienza della premier, insediatasi da poche settimane, nel tentativo di ridimensionare la portata dello strappo diplomatico.
Implicazioni geopolitiche nell'Indo-Pacifico
Le dichiarazioni di Takaichi si inseriscono in un contesto già teso. Pechino considera Taiwan una propria provincia “ribelle” e rivendica la sovranità sull'isola di 23 milioni di abitanti, ritenendola un “affare interno” non negoziabile – una vera e propria “linea rossa”. Di conseguenza, qualsiasi accenno di supporto esterno a Taipei scatena reazioni durissime da parte cinese. Dal canto suo, Taiwan – governata democraticamente ma non riconosciuta da Pechino – subisce crescenti pressioni militari e un isolamento diplomatico da parte della Cina, cercando al contempo sostegno dagli alleati internazionali. In questo scenario, la svolta di Tokyo viene accolta positivamente a Taipei: il presidente taiwanese Lai Ching-te ha definito Takaichi “un'amica ferma di Taiwan”, apprezzando l'impegno giapponese a difesa di valori condivisi come la democrazia e lo stato di diritto.
Sul piano regionale, la posizione più assertiva del Giappone potrebbe ridisegnare gli equilibri indo-pacifici. La crisi diplomatica innescata dalle parole di Takaichi ha ricordato a tutti quanto sia esplosivo il dossier di Taiwan e quanto siano in gioco gli assetti di potere in Asia orientale.
Da un lato, il messaggio di Tokyo funge da segnale dissuasivo: indica a Pechino che un'aggressione a Taiwan rischierebbe di coinvolgere direttamente anche il Giappone, principale alleato degli Stati Uniti nell'area, rafforzando così un fronte di democrazie decise a contenere le ambizioni egemoniche cinesi.
Dall'altro lato, la Cina sta sfruttando la vicenda per galvanizzare il sentimento nazionalista interno e mettere in guardia i paesi vicini dal sostenere Taipei, dipingendo la nuova leadership giapponese come pericolosamente revisionista sul piano militare. La contrapposizione retorica riporta alla luce antiche ferite storiche (dal passato coloniale nipponico alle stragi come quella di Nanchino), elevando il rischio di incomprensioni ed escalation.
Infine, va sottolineato che un deterioramento dei rapporti tra le due maggiori economie asiatiche avrebbe ripercussioni ben oltre l'ambito militare. Un confronto aperto su Taiwan colpirebbe duramente il commercio, gli investimenti e le filiere tecnologiche regionali, dato il profondo intreccio tra le economie di Cina e Giappone. Proprio per questo, malgrado la fermezza di Takaichi abbia segnato una svolta simbolica, Tokyo e Pechino hanno interesse a evitare che la situazione degeneri oltre la guerra di parole, mantenendo aperti i canali diplomatici per la stabilità dell'intera regione indo-pacifica.
